10 nov 2008
CIAO MAMA AFRIKA!
"La voce di Miriam Makeba era quello che i sudafricani dell'apartheid avevano al posto della libertà": questo il commento di Roberto Saviano - cui era dedicato il concerto della cantante sudafricana a Castelvolturno (CE).
Era nata 76 anni fa a Johannesburg; un infanzia non facile causa il matrimonio dei genitori di etnie diverse (perse il padre a sei anni), e una vita di musica e impegno contro l’apartheid, sensibile alle cause umanitarie, ha speso tutta la sua vita per l’impegno civile. Famosa in tutto il mondo per essersi battuta contro le segregazioni razziali e l'apartheid che hanno dilaniato il suo paese, il Sudafrica, ha dato con la sua splendida voce e la sua notorietà messaggi forti ai potenti che vogliono questa situazione in tutto il mondo. E' stata la grande voce dei deboli.
Ci ha lasciati poco dopo essersi esibita al teatro di Baia Verde, a Castel Volturno.
Miriam Makeba è morta sul 'campo', come avrebbe voluto. Non ha voluto mancare all'ultimo appuntamento per combattere in un luogo-simbolo la criminalità e la sopraffazione, quelli sono stati sempre la forte causa della sua vita.
E' stata una grande e lo sarà per sempre!
9 nov 2008
Mambo Sinuendo
Ma parliamo di musica che è meglio, vah!
Chiuso stoppinato in casa in un caldo sabato pomeriggio estivo, mentre sistemavo le mie 'creaturine' sul ripiano dei cd, mi guarda con occhi tristi un regalo natalizio dimenticato e mai aperto, dono di un carissimo amico. Curioso come una scimmia apro questo pacchettino e mi appare 'sto cd: Ry Cooder & Manuel Galban - Mambo Sinuendo.
Lo vado subito ad infilare nel lettore e ne resto estasiato.Il disco è strumentale, costruito e suonato da due musicisti che si alternano e si fondono fino a scambiarsi ruoli e strumenti.
Ry Cooder, per chi non lo conoscesse, è un chitarrista, cantante e compositore statunitense, reso celebre per una serie di album in cui ha esplorato vari generi della musica americana (e non solo). Ha sempre strizzato l'occhio a Cuba in tutta la sua etnicità tanto da essere , inoltre, il principale iniziatore di quella celebre esperienza musicale che è stata, a partire dal 1996, il Buena Vista Social Club.
Manuel Galban è nato nel 1931 in un piccolo paese nell'ovest dell'isola di Cuba e sin da bambino ha suonato in vari gruppi locali fino ad avere il primo ingaggio a 14 anni come primo chitarrista nella nota orchestra cubana dell'epoca 'Orchestra Villa Blanca'. Nel 1963 creò quel leggendario gruppo 'Los Zafiros' dove ha espresso il meglio del suo virtuosismo chitarristico in maniera elegante e competente. Ha fondato gruppi di musica tradizionale cubana ed ha continuato la sua attività sino ad oggi con la stessa immutata eleganza. E' apparso inoltre nel film di Wim Wenders 'Buena Vista Social Club' con Ry Cooder.
Due solarità diverse trovano un terreno comune su cui muoversi, producendo un sound meticcio: esemplare è l’immagine di copertina che inquadra la coda di una vecchia auto americana all’epoca diffusa sull’isola cubana. Si viene così a innescare di nuovo l’attrazione tra l’Africa, Cuba e gli Stati Uniti, un triangolo che anche stavolta porta alla luce una creatura ibrida: “Mambo sinuendo” suona infatti tradizionale nei suoi riferimenti e nella sua collocazione, ma altrettanto moderno e sperimentale nel suo svolgimento.
La combinazione tra chitarre, percussioni, congas e cori si costituisce sempre come delle ballate a cui di volta in volta si aggiungono arrangiamenti di tromba, di piano e d’organo. In “Bodas de oro” e “Echale salsita” è percepibile il tipico fraseggio della chitarra di Cooder, sempre sciolto in una passionalità latina, al punto che un brano come “La luna en tu Mirada” potrebbe appartenere al repertorio più sensuale di Omara Portuondo, magari in un duetto con Ibrahim Ferrer. Nel disco c’è spazio anche per accenni di salsa, di bolero e per qualche sfumatura roots, a testimonianza della fluidità del lavoro, che a tratti suona come un Django Reinhardt in versione afro-caraibica. L'album ha vinto un Grammy nel 2004.
A Ry Cooder dovrebbero concedere il visto a vita, se non la cittadinanza onoraria, per il lavoro di recupero, valorizzazione e diffusione svolto sulla cultura cubana.
2 nov 2008
Tristi storie del XXI secolo
AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni almassimo, spaventati, paonazzi. Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove. Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano"Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse. Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare
fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi
indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire". Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto". Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze
dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì".
È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del
poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati". Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano.
Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.
Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi,s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.
A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti
venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".
(di CURZIO MALTESE)
Iscriviti a:
Post (Atom)